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Istat: povertà assoluta e relativa nell’anno 2016

Leggo su Repubblica che il livello di povertà è stabile: «I poveri non aumentano più di tanto nel 2016». Salvo poi aggiungere «Ma la povertà aumenta al Centro e soprattutto è in crescita tra le famiglie più giovani e i minori». Una stabilità interessante, non c’è che dire. Talmente stabile che aumenta…

Passo a la Stampa e leggo una notizia simile [2]:

La povertà in Italia non scende. Anzi per le famiglie con tre e più figli aumenta in maniera drammatica. La fotografia dell’Istat, in attesa che decollino concretamente le nuove iniziative del governo (il nuovo Sia, il Sostegno di inclusione attiva andrà a regime solo dopo l’estate), è desolante. Nel 2016, infatti, si stima siano ancora 1 milione e 619 mila le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta, nelle quali vivono 4 milioni e 742 mila individui. Rispetto al 2015 si rileva una sostanziale stabilità della povertà assoluta in termini sia di famiglie sia di individui, segno che la situazione economica del paese stenta a migliorare. Tant’è che l’incidenza di povertà assoluta sul totale delle famiglie è pari al 6,3%, praticamente in linea con i valori stimati negli ultimi quattro anni. Per gli individui, l’incidenza di povertà assoluta si porta al 7,9% rispetto al 7,6% del 2015, una variazione che però l’Istat definisce “statisticamente non significativa”.  

Quindi, ricapitoliamo: la povertà non scende, anzi aumenta per le famiglie più numerose. Ma la situazione è stabile. Boh?

 

—- Istat: metodologia —-

Mettiamo da parte la sintesi giornalistica e passiamo all’originale [3]. L’Istat prende in considerazione due tipologie di povertà:

  • la povertà assoluta;
  • la povertà relativa;

Ecco la differenza fra le due:

Se la povertà assoluta classifica le famiglie povere/non povere in base all’incapacità di acquisire determinati beni e servizi, la misura di povertà relativa, definita rispetto allo standard medio della popolazione, fornisce una valutazione della disuguaglianza nella distribuzione della spesa per consumi e individua le famiglie povere tra quelle che presentano una condizione di svantaggio (peggiore) rispetto alle altre. Viene infatti definita povera una famiglia di due componenti con una spesa per consumi inferiore o pari alla spesa media per consumi pro-capite.

Il calcolo viene effettuata partendo dal solito paniere di beni e servizi: «una misura basata sulla valutazione monetaria di un paniere di beni e servizi considerati essenziali per evitare gravi forme di esclusione sociale».

Per quanto riguarda il concetto di essenziale:

I fabbisogni essenziali sono stati individuati in un’alimentazione adeguata, nella disponibilità di un’abitazione – di ampiezza consona alla dimensione del nucleo familiare, riscaldata, dotata dei principali servizi, beni durevoli e accessori – e nel minimo necessario per vestirsi, comunicare, informarsi, muoversi sul territorio, istruirsi e mantenersi in buona salute.

Per concludere, l’unità di riferimento è la famiglia.

 

—- Istat: i dati —-

Partiamo dalla povertà assoluta: ««Nel 2016 si stima siano 1 milione e 619mila le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta, nelle quali vivono 4 milioni e 742mila individui. Rispetto al 2015 si rileva una sostanziale stabilità della povertà assoluta in termini sia di famiglie sia di individui».

 

E finiamo con quella relativa: ««Anche la povertà relativa risulta stabile rispetto al 2015. Nel 2016 riguarda il 10,6% delle famiglie residenti (10,4% nel 2015), per un totale di 2 milioni 734mila, e 8 milioni 465mila individui, il 14,0% dei residenti (13,7% l’anno precedente)».

 

Ancora una volta ritroviamo la stabilità del fenomeno. Ma c’è il trucco:

Nel 2016 si stima che 1 milione 619mila famiglie (6,3% delle famiglie residenti) siano in condizione di povertà assoluta in Italia, per un totale di 4 milioni e 742mila individui (7,9% dell’intera popolazione). Se il numero di famiglie in povertà assoluta torna ai livelli del 2013 (quando erano 1 milione 615mila), il numero degli individui registra invece il valore più alto dal 2005; ciò è avvenuto perché la povertà assoluta è andata via via ampliandosi tra le famiglie con quattro componenti e oltre e tra quelle con almeno un figlio minore (Prospetto 1). Dopo essere salita al 5,6% nel 2012, l’incidenza di povertà assoluta con riferimento alle famiglie è rimasta negli ultimi quattro anni sostanzialmente stabile al 6,0%. Nel 2016 soltanto nel Centro Italia si registra un incremento significativo rispetto all’anno precedente (5,9% da 4,2%) sebbene continui ad essere il Mezzogiorno l’area del Paese con l’incidenza più elevata (8,5%). Per gli individui, nel contesto di una sostanziale stabilità dell’incidenza della povertà assoluta rispetto all’anno precedente (7,9% da 7,6%), si conferma una crescita nel Centro (da 5,6% del 2015 a 7,3% del 2016)1 , con il Mezzogiorno che, anche in questo caso, fa segnare i valori più elevati (9,8%) tra le ripartizioni.

In pratica era la solita legge dei vasi comunicanti: alcuni stanno meglio, altri peggio. Nel computo totale più o meno siamo come prima. Sono soddisfazioni, per carità.

Nessuna sorpresa per quanto riguarda il rapporto fra il titolo di studio e la povertà:

Come negli anni precedenti l’incidenza di povertà assoluta diminuisce al crescere del titolo di studio della persona di riferimento: 8,2% se ha al massimo la licenza elementare; 4,0% se è almeno diplomata. La posizione professionale della persona di riferimento incide molto sulla diffusione della povertà assoluta. Per le famiglie la cui persona di riferimento è un operaio, l’incidenza della povertà assoluta è doppia (12,6%) rispetto a quella delle famiglie nel complesso (6,3%), confermando quanto registrato negli anni precedenti. Rimane, invece, piuttosto contenuta tra le famiglie con persona di riferimento dirigente, quadro e impiegato (1,5%) e ritirata dal lavoro (3,7%).

Ed ecco i giovani:

La povertà relativa colpisce di più le famiglie giovani: raggiunge il 14,6% se la persona di riferimento è un under35 mentre scende al 7,9% nel caso di un ultra sessantaquattrenne.

Anche qui nessuna sorpresa. Il reddito dei più giovani è più basso rispetto a un lavoratore esperto per via dei scatti di anzianità. E senza dimenticare la disoccupazione giovanile

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[1] Cfr. http://www.repubblica.it/economia/2017/07/13/news/istat_stabile_il_livello_di_poverta_-170681539/.

[2] Cfr. http://www.lastampa.it/2017/07/13/economia/istat-in-italia-cinque-milioni-di-poveri-assoluti-91VgWiz92Drujks34ww2EM/pagina.html.

[3] Cfr. https://www.istat.it/it/archivio/202338.

Informazione

Questa voce è stata pubblicata il 22 luglio 2017 da in Uncategorized con tag , , , .